La Cassazione boccia lo sgravio se l’operazione è non imponibile o esenteMa l’interpretazione (accolta dalla Gdf) del Dlgs 471/1997 appare troppo restrittiva
Risulta molto penalizzante per le imprese e incoerente con il dettato normativo la recente posizione espressa dalla Corte di cassazione (sentenza 24289/2020), accolta dalla guardia di Finanza (a modifica della propria precedente circolare 114153 del 13 aprile 2018), secondo cui il cessionario/committente non può portare in detrazione l’imposta erroneamente applicata e assolta dal cedente/prestatore nei casi diversi da quelli in cui, per una operazione imponibile, sia stata applicata un’aliquota maggiore rispetto a quella dovuta.
Nell’articolo 6, sesto comma, del Dlgs 471/1997 si prevede che:
chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al 90% dell’ammontare della detrazione compiuta;
se però il cedente o prestatore per errore, e al di fuori di un contesto di frode, applica e assolve l’imposta in misura superiore a quella effettiva, il cessionario committente potrà portare in detrazione la maggiore imposta, sempre se inerente e oggettivamente detraibile, e sarà punito con una sanzione amministrativa ridotta compresa fra 250 euro e 10.000 euro.
Tale possibilità è stata introdotta dalla legge di stabilità del 2018 (legge 205/2017) e risulta applicabile anche per i casi verificatisi prima del 1° gennaio 2018 (in tal senso articolo 6, comma 3-bis del Dl 34/2019).
Pasquale Murgo
Sole24ore del 04/01/2021
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